lunedì 20 giugno 2016

Ma c'è ancora Mastella...?

Tutti impegnati a capire quanto è brava e bella la nuova sindaca di Roma, Virginia Raggi. O quanto è stata tenace Chiara Appendino a mandare a casa l'ormai ex sindaco di Torino, Piero Fassino (presidente, tra l'altro, dell'Anci, l'associazione dei sindaci di Italia).
Tutti intenti a vedere se a Milano ce la faceva mister Expo Beppe Sala (ai rigori come il Real contro l'Atletico, ma la coppa meneghina l'ha alzata lui).
Tutti a dare (giustamente) addosso a Renzi per la sconfitta. Ad osannare (insomma...) Beppe Grillo per la vittoria dei Pentastellati. Ad ignorare che la Lega (per la miseria, ha perso anche la Maroniana Varese...) e Forza Italia (ah, è vero, ha preso Trieste) sono usciti dal panorama politico amministrativo "per colpa dell'astensione".
Tutti condizionati dai riflettori mediatici sulle grandi capitali, sui grandi personaggi, belli o brutti che siano. Per carità, si può anche capire. Quello che non capisco è chi diavolo ha votato ancora a Benevento Clemente Mastella, da ieri sera sindaco della città campana. Le malelingue dicono che buona parte del merito del suo 62 e passa percento al ballottaggio contro il candidato del Pd ce l'hanno i grillini (lui dice di rappresentare l'Italia non grillina, ma fa niente).
Mastella è uno dei pochi ad avere vinto con l'appoggio di quel marasma di centrodestra di cui, ormai, non si capisce più niente: qui insieme, là no. Qui ti sego le gambe, là ti impianto una protesi. Ha dichiarato di avercela fatta nonostante le cattiverie dette in campagna elettorale. E io, in questo pomeriggio (finalmente) di sole, di cattiverie non ne ho proprio voglia.
Preferisco fare un copia/incolla della pagina di Wikipedia che racconta chi è il nuovo sindaco di Benevento. Così, per rinfrescare la memoria su un personaggio che, francamente, immaginavo nel buon ritiro della pensione politica. Ma che, invece, della politica non riesce a farne a meno. A modo suo? Lo dirà il tempo.

Da Wikipedia:

Il 14 ottobre 2007 Clemente Mastella viene iscritto nel registro degli indagati della procura di Catanzaro nell'ambito dell'inchiesta Why Not del sostituto procuratore Luigi De Magistris: l'ipotesi di reato è abuso di ufficio. Il ministro è sospettato di essere coinvolto in una "rete" costituita da politici, imprenditori, giudici e massoni finalizzata ad ottenere finanziamenti dallo Stato e dall'Unione europea.
Il coinvolgimento del ministro nell'inchiesta è motivato dai suoi rapporti con l'imprenditore Antonio Saladino. L'indagine coinvolge l'attività imprenditoriale di Saladino, titolare in passato di una società di lavoro interinale denominata "Why Not". Agli atti figurano, tra l'altro, intercettazioni di colloqui telefonici proprio tra Mastella e Saladino.
Il 16 gennaio 2008, dopo il provvedimento di arresti domiciliari nei confronti della moglie Sandra Lonardo, da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, Mastella presenta le sue dimissioni da ministro, sostenendo di essere vittima, insieme alla sua famiglia, di un attacco della magistratura. Le dimissioni vengono respinte dal Presidente del Consiglio Romano Prodi[32] e nel tardo pomeriggio della stessa giornata le agenzie di stampa scrivono che anche lo stesso Mastella sarebbe indagato nell'ambito dell'inchiesta riguardante la moglie.
Il giorno seguente Mastella conferma le proprie dimissioni ed annuncia che il suo partito, l'UDEUR, darà "appoggio esterno" al governo. Il 21 gennaio Mastella modifica la propria posizione dichiarando di uscire dalla maggioranza e di voler votare no alla questione di fiducia[33]. Il governo Prodi cade il 24 gennaio in seguito al voto di sfiducia.
L'8 marzo dello stesso anno la Procura Generale di Catanzaro, che aveva avocato a sé le indagini dopo la dichiarazione d'incompatibilità del sostituto procuratore De Magistris, chiede l'archiviazione delle accuse ipotizzate a carico di Mastella, che esce dall'inchiesta. Nelle motivazioni, depositate il 1º aprile, il Gip ha affermato che "non vi erano neanche gli estremi per poter iscrivere Mastella nel registro degli indagati". L'ex Guardasigilli ha annunciato che intende "valutare tutte le possibili azioni giudiziarie e amministrative a tutela della mia persona" e dichiara di voler "chiedere il risarcimento dei danni a chi ha lavorato, sul piano giudiziario, quello mediatico e quello politico, per la mia eliminazione politica".[34].
Il 19 dicembre 2009 Mastella dà mandato ai suoi legali di citare in giudizio lo Stato italiano per l'archiviazione dell'inchiesta Why Not. La richiesta di risarcimento ammonta a 10 milioni.[35]
Il 26 febbraio 2009 appare sull'Espresso la notizia che il giudice GianDomenico Lepore ha inviato gli avvisi di chiusura delle indagini per l'inchiesta riguardante l'ex ministro della giustizia[36].
Nei mesi seguenti, la vicenda si è capovolta, giudicando illegittima l'avocazione dell'inchiesta Why Not, legittime le intercettazioni, e l'inchiesta di Santa Maria Capua Vetere è passata alla procura di Napoli che, in maggio 2009 ha ritenuto fondate molte delle accuse, rinviando a giudizio Clemente Mastella e sua moglie Sandra Lonardo.[37]
Nel marzo 2011 Clemente Mastella viene rinviato a giudizio, assieme alla moglie Sandra Lonardo, per tre capi di imputazione: truffa e appropriazione indebita, in merito all'acquisizione al patrimonio familiare di due appartamenti a Roma di proprietà dell'Udeur e della testata giornalistica Il Campanile; abuso d'ufficio, per l'assegnazione di incarichi da parte dell'Arpac[38].
Il 22 dicembre 2011 il GUP di Benevento Flavio Cusani rinvia a giudizio Clemente Mastella per corruzione nell'ambito dell'inchiesta "Iside Nova". L'indagine è condotta dal procuratore Antonio Clemente il quale sarà in seguito sostituito dal procuratore capo Giuseppe Maddalena.[39][40]

Critiche e aspetti controversi

Nel 1994 fonda il CCD di cui diviene presidente, e al cui progetto aderisce immediatamente Lorenzo Cesa, che viene messo a capo della segreteria politica. In quel periodo Cesa era, da pochi mesi, sotto processo (nonché reo confesso) per un importante caso di corruzione legato al ministero dei Lavori Pubblici.
Molto discussi sono i trascorsi rapporti di amicizia con l'ex-presidente del consiglio comunale di Villabate e condannato per mafia Francesco Campanella. Rapporti tanto stretti che Mastella fu testimone delle nozze del Campanella nel 2000. Alle stesse nozze fu testimone anche il presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa[41] e poi condannato in primo grado nel gennaio del 2008 a 5 anni di carcere per favoreggiamento semplice ad uomini vicini al superboss Bernardo Provenzano.
All'inizio del febbraio 2007 egli viene raggiunto da un avviso di garanzia da parte della Procura della Repubblica di Napoli. L'ipotesi formulata dagli inquirenti è quella di concorso in bancarotta fraudolenta per il fallimento del Napoli Calcio, dichiarato nel 2004 con sentenza del Tribunale di Napoli. L'iscrizione nel registro degli indagati rappresenta un fatto dovuto, dal momento che, all'epoca della commissione dei presunti illeciti (2002), Mastella era vicepresidente della società e membro del consiglio di amministrazione. Interpellato al riguardo, Mastella si è dichiarato estraneo al crac, sostenendo di non aver mai partecipato direttamente alla gestione della Società.

mercoledì 15 giugno 2016

Mi rubano in metrò. Ma nessuno vede niente

Succede a Milano, stazione di Porta Garibaldi. Non proprio una di quelle fermate della metropolitana deserte, per non dire sfigate. E' sfigata, invece, la ragazza che, nei tre minuti impiegati a raggiungere dal metò i binari delle ferrovie, viene derubata del cellulare che teneva nello zaino. Milano, stazione di Porta Garibaldi, metà mattina. C'è il pienone. Nessuno vede. E se vede non parla. Non fa niente. Tira dritto. I passanti voltano lo sguardo da un'altra parte. Non sono affari loro. Non vogliono casini. Hanno fretta. Come tutti, a Milano. Quando toccherà a loro, si lamenteranno che nessuno vede, nessuno parla, nessuno fa niente, tutti tirano dritto...ecc.ecc...
Ma, nel frattempo, non sono affari loro. Hanno fretta. Come tutti, a Milano.


lunedì 13 giugno 2016

Sallusti, il vero scandalo è un altro


 La conoscenza del pensiero del nemico sta alla base della cultura di ogni popolo. Per quello non mi scandalizza che Il Giornale abbia messo in vendita insieme al quotidiano Mein Kampf, il libro che raccoglie l'ideologia di Adolf Hitler.
Non mi scandalizza per varie ragioni. La prima, l'ho appena detta, perché ritengo che non si debba conoscere soltanto quello che ci è affine ma anche quello che dista anni luce dalle nostre idee. Più sarà ampia la nostra conoscenza, più potremo criticare quello con cui non siamo d'accordo. Altrimenti faremmo delle chiacchiere nostre basate su delle chiacchiere riportate da altri. Niente di più triste.
La seconda, perché non infrange la legge. Le librerie sono piene di volumi come questo, di biografie di dittatori, di saggi scritti da macellai. Nessuno si è mai lamentato. Vendere Mein Kampf non è illegale. E, credo, nemmeno inopportuno. Non è più sbagliato di allegare ad un quotidiano di informazione il libro delle ricette di suor Germana. Ciascuno fa le proprie scelte. Così come la famiglia Berlusconi ritiene una buona idea di diffondere il pensiero di Hitler, altri pensano sia meglio informare i lettori su come cucinare gli asparagi. Personalmente, credo sia più utile la scelta di Alessandro Sallusti: sapere come spiegare la storia ai miei figli dopo aver analizzato il cervello atroce di un boia aiuterà loro a non commettere gli stessi sbagli. Anche se si bruciano gli asparagi: c'è sempre una pizzeria d'asporto accanto a casa.

Mi scanzalizza di più che nessuno abbia notato (o per lo meno che non abbia avuto la stessa eco) la mossa, questa volta illegale, fatta dallo stesso quotidiano sabato 4 giugno. Cioè, il giorno del silenzio elettorale, alla vigilia del voto per il primo turno delle amministrative. Sallusti (e quindi Paolo Berlusconi, editore di Il Giornale e fratello dell'ex Cavaliere) ha pubblicato quel giorno un'intervista all'ex premier, Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia. Proprio quel sabato in cui non è permesso (lo dice la legge) fare campagna elettorale. Berlusconi (Silvio), che, probabilmente, sentiva già la puzza della sconfitta, si è prodigato in appelli al voto per il centrodestra. "Un voto per pagare tasse" recitava il titolone, acarattere cubitali, in prima pagina. Vedete voi. Questo sì è illegale. Ma nessuno ha alzato la voce.

Nessuno ha chiesto una sanzione (prevista dalla legge) per aver pubblicato un appello al voto nella giornata di silenzio. Nessuno, nemmeno l'Ordine dei Giornalisti (quel fantasma che vuole da noi solo soldi ma che, in casi come questo, volta sempre lo sguardo dall'altra parte), ha preso posizione.
Mein Kampf, in tedesco, significa "la mia battaglia". Forse è solo un caso che nell'arco di appena 10 giorni Il Giornale ne abbia pubblicate due di battaglie, unite dallo stesso bisogno di potere.

venerdì 10 giugno 2016

Qualcuno inventi una medicina per i politici disturbati


Anni fa, tra le altre cose, facevo il cantante in una discoteca. Credo di averlo scritto nel post di benvenuto. La foto sopra è dei primi tempi. Ma questo, chi mi ha visto di recente, l'avrà già capito. Bisognava arrotondare, e ho cercato di far fruttare (tutto sommato con un discreto successo) uno degli scarsi doni che il buon Dio mi ha regalato: la voce e l'intuizione per la musica. Una sera mi sono trovato coinvolto in una cena organizzata da Alleanza Nazionale. C'erano le elezioni amministrative, mi sembra (qui si va così tante volte alle urne che, alla mia tenera età, ho perso il conto).

 Ospite d'onore, l'allora fedelissimo di Gianfranco Fini, nonché coordinatore del Popolo della Libertà, Ignazio La Russa. Gnazio, per i simpatizzanti di Fiorello. Mi fece un autografo per mia figlia (era piccola) firmandosi come lei lo chiamava quando lo sentiva in televisione: "Brontolo". Lui faceva il suo mestiere di politicante, io il mio di cantante. Lui parlava e tutti stavano zitti. Io cantavo e qualcuno ascoltava. Finché, con aria solenne, uno dei suoi chierichetti, si avvicinò a me e mi disse: "Spegni la musica, l'onorevole ha mal di testa". Notare: non "mi scusi, Le dispiace...?" Alla fine, stavo lavorando. No. "Spegni la musica". L'ho abbassata. Dopo 10 minuti, un decibel alla volta, era al livello di prima. C'era qualche altra decina di persone in sala. Anche loro stavano pagando nella cena il prezzo del musicista. Nessuno si è più lamentato.


Mai infastidire un politico. Ha la precedenza su chiunque e su ogni cosa. Passa come un carro armato su chiunque e su ogni cosa. Che sia un povero diavolo che sta facendo il suo mestiere di cantante, non solo per lui, che sia una banda chiamata a suonare (non solo per lui, ci mancherebbe) l'inno di Mameli ad un evento ufficiale. Come a quello organizzato qualche giorno fa a Sulzano, ridente località in provincia di Brescia, sul lago di Iseo. L'occasione era l'inaugurazione di "The Floating Piers", una passerella galleggiante progettata, non a caso, dall'artista Christo. Non a caso, perché, a passarci sopra, l'impressione che si dà è quella di camminare sulle acque. Come se avessero chiamato Giacomo Della Porta a progettare l'ingresso di un palazzo.

 Ma torniamo al politico. Arriva il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni.Il Governatore, anzi: il Governatur. Niente auto blu (nemmeno verde-Lega) ma la locomotiva più antica d'Europa, un trenino d'epoca, risalente al 1883, rispolverato ad hoc da Trenord. Chissà se Maroni, a capo della Regione che è socio di maggioranza di Trenord, avrà notato la differenza tra quel trenino e quelli che, ogni tanto, portano qua e là i pendolari della Lombardia.
Bene, Maroni scende e ad aspettarlo, oltre alle autorità locali fasciate in tricolore (in tricolore!!!!) c'era anche la banda. Vuoi che arrivi il Governatur e non ci sia la banda? Ma scherzi? Ecco trombe e sassofoni, grancasse e clarinetti, flauti e tube, scherati per cotanto momento solenne. Che si suona? Beh, l'inno di Mameli, direi. Un pezzo della Pausini sarebbe stato inopportuno (forse meglio, tenuto conto dell'ospite, Van De Sfroos, ma non sembrava il caso...). L'inno di Mameli, aggiudicato.
Eccoli che stanno per partire con il "Tattararà tararà tararà tararatta tattattà"...che arriva il sindaco (la sindaco, la sindachessa...come devo chiamarla?). Chiamiamola per nome: Paola Pezzotti, eletta nelle liste di Forza Italia. Arriva e dice: "No, mi dispiace. L'inno di Mameli no, potrebbe indispettire il Governatore..."
I musicisti si guardano stupiti. "Come l'inno di Mameli no...? Non se ne parla, noi lo suoniamo". La sindaco/sindaca/sindachessa insiste: "Meglio un'altra marcia". Marcia proprio la musica che può sostituire un inno nazionale per l'indisponenza di un politico ad ascoltarlo.
Marcia e amara deve essere sembrata l'alternativa a cui la banda si è dovuta piegare per non indispettire il Governatur: la marcia "Primis", di Lorenzo Pusceddu, nato a Dolianova, provincia di Cagliari, e di Antonio Petrillo, nativo di...Salerno!
La banda protesta ma suona, anche se indispettita. Sassofonisti e flautisti, percussionisti e clarinettisti, si sentono presi per i fondelli. Come musicisti e come italiani. Maroni, invece, sorride, nel suo completo scuro acquistato con i soldi dello Stato italiano, che continua a pagargli un lauto stipendio da Governatur, nonostante lui vada avanti a sputare sul piatto da cui mangia. Era musicista anche lui, ma suonava blues. Altro che Mameli, roba da calciatori.

giovedì 9 giugno 2016

Votare "per" o votare "contro"


Prendo spunto di un articolo di Antonio Polito pubblicato sul Corriere della Sera. E' veramente sensato allearsi col miglior nemico per votare contro qualcuno anziché continuare a sostenere le proprie idee? Francamente, per usare un termine di berlusconiana memoria, mi sembra una "corbelleria". Una sorta di "adesso me la paghi" quando si è rimasti esclusi dai giochi. Come alle elementari, quando il compagno di banco ti negava un pezzo di merendina e tu, il giorno dopo, per ripicca, ti presentavi a scuola con la torta della mamma tutta per te. Guai a lui se te ne chiedeva un po'. Piuttosto la condividevi con quello che non hai mai sopportato.
Così succede oggi in politica. E scusate se gli attori sono già cresciutelli rispetto ai pargoletti delle elementari. Il concetto è lo stesso: appena si presenta l'occasione, si vendicano dei torti subìti e appoggiano uno che non c'entra nulla con le loro idee (parlo di chi ne ha almeno qualcuna) pur di punire l'avversario più ostile.

Ai ballotaggi delle amministrative che si teranno fra una decina di giorni, si parla di un enigmatico asse tra Movimento 5 Stelle e Lega Nord per sostenere i candidati grillini e mandare un messaggio (mica tanto) trasversale a Matteo Renzi. Oppure, laddove il duello è tra Pd e centrodestra, i grillini voterebbero un berlusconiano sempre con lo stesso obiettivo: dare non una spallata ma una pedata nel sedere a Renzi nel tentativo di far traballare il suo governo.
Naturalmente, visto che di politica si tratta, i leader dei vari partiti hanno già messo le mani avanti. I seguaci di Grillo dicono no agli inciucci, Matteo Salvini nega che esista un'alleanza concreta ma chiede di votare contro il Pd a Roma come a Torino, a Bologna come a Milano. Si parla di contatti segreti tra i due movimenti. Se pensate che verranno formalizzati, vi sbagliate di grosso.

Silvio Berlusconi, al quale vanno i più sinceri auguri di pronta guarigione, aveva già dato la sua indicazione, dopo la batosta al primo turno nella maggior parte dei municipi: dove non si presenta al ballottaggio un suo candidato, fedelissimi e simpatizzanti sono pregati di introdurre nell'urna una scheda bianca. Come duemila anni fa in casa di Pilato, all'uscita dei seggi verranno forniti dei teli per asciugarsi le mani.

E Renzi? Che può fare il povero segretario del Partito Democratico, bersaglio di ex amici ed avversari, se non quello che avrebbe fatto qualsiasi politico? "Se perdo le amministrative non me ne vado. Per me conta solo il referendum istituzionale". Quando si dovrà votare a quella consultazione, il presidente del Consiglio avrà il coraggio di ripetere le stesse parole?

martedì 7 giugno 2016

Quanto deve durare uno stupro perché sia punito?

Venti minuti non bastano. Di più, di più. Cosa vuoi che siano venti minuti di stupro per beccarti sei mesi di carcere? No, devi andare giù più pesante per passare sei mesi al fresco. Altrimenti la pena sarebbe troppo dura. Oddio, il gioco di parole è tanto facile quanto squallido. Non lo faccio. Mi vien da vomitare.


C'è un ragazzino di 20 anni in California, tale Brock Turner. Frequentava l'Università di Stanford. Dicono sia una ex star del nuoto. Ma come si può essere una ex star a soli 20 anni? Lo sanno solo i media che pompano (ahia, ancora...) il primo belloccio che vince un paio di gare. Oggi sei un mostro, domani sei nessuno.
Soprattutto se in preda all'alcol violenti una ragazza priva di sensi, dietro un cassonetto dell'immondizia. Lo schifo nello schifo. Ci ha dato sotto con brutalità finché un paio di ciclisti sono capitati nei paraggi, lo hanno fermato ed hanno chiamato la Polizia. Un gesto che ti fa cadere nei sotterranei dell'umanità. Anche se sei un'ex star. Anche se hai bevuto come un disgraziato. Anche se tuo padre è così imbecille da dire che 20 minuti son niente: "Come si fa a dare sei mesi di carcere a uno che ha commesso un reato in appena 20 minuti?" Come si fa, penso io, a dire una cosa così. Come si fa a non stare zitti, a non pensare che se la vittima fosse stata sua madre, sua moglie o sua figlia, mezzo secondo sarebbe bastato a infiammargli la giugulare.

 Come ha fatto, soprattutto, il giudice a non fare la stessa riflessione? Turner rischiava 14 anni. L'accusa, forse con addosso il costume di Babbo Natale, ne aveva chiesti appena sei. Meno della metà. Il magistrato, invece, ha ritenuto che l'essere entrambi ubriachi sia un attenuante. Bel messaggio: "Ragazzi, se volete commettere una violenza sessuale, prima scolatevi un paio di bottiglie insieme alla vostra vittima per passare meno tempo in galera". Altro urto di vomito. Ma non è finita.
Il giudice, Aaron Persky, ha ritenuto che il ragazzino fosse "troppo stressato dai media" e che, per questo, meritasse una ricompensa. Quanto basta per scatenare alcuni settori della società americana che sentono puzza di premio ad un bianco, bello e riccaccione. Se fosse stato negro? Mah, se fosse stato negro, credetemi, non staremmo qui a parlarne. Ecco. Ora vado davvero in bagno.



venerdì 3 giugno 2016

Proposta in Pakistan: picchiate la moglie ma poco poco


Con leggerezza. Appena appena. Giusto un pochino. Che ne so, una spintarella contro il muro, uno schiaffetto, una frustatina di niente. Mica ti farà tanto male. Quanto basta per farti capire che non devi più farmi arrabbiare in quel modo. Che devi obbedire quando ti dico, anzi ti ordino di fare qualcosa.
Vedi, amore. Non è un'idea mia quella di picchiarti quando non mi ascolti. E' stato il Consiglio dell'ideologia islamica di noi pakistani ad autorizzarmi a farlo. E vuoi che un uomo come me, ligio e osservante, fedele ad ogni regola che i Nostri Signori dettano con fatica, vada contro ogni tradizione? Amore, non me lo posso permettere. Cosa penserebbero di me?

Hai presente quando ti dico che devi vestirti in quel modo e tu, invece, fai di testa tua? O quando ti dico che a letto non è ancora il momento di dormire ma di farmi sentire quanto, finalmente, se ti impegni, sei femmina? O ancora: quando, dopo che mi hai fatto sentire come avevo bisogno io, ti dico di lavarti e invece mi rispondi, magari alzando la voce, che sei stanca? Solo perché hai dovuto servirmi dall'alba fino a notte fonda (che poi sarebbe il tuo dovere)? O quando, con una regolarità che non ho ancora capito, ogni mese perdi tutto quel sangue dicendo che ti fa male la pancia e non vuoi farti la doccia?

I Nostri Signori mi hanno detto che posso alzare le mani contro di te (non ti spaventare, solo in modo leggero). Loro dicono "per punirti". Io preferisco pensare che sia "per educarti". Ma senza farti male. Perché se esagero, domani non avrai più la forza di servirmi dall'alba fino a notte fonda. E mi dovrò arrabbiare ancora. Pensa se mi scappa la mano. Vero che nessuno dei due vuole questo?

Quindi, amore, vedi di fare quello che ti ordino. Ovvio che lo dico per il tuo bene. Non perdere tempo (prezioso per le mie esigenze) a guardare quelle inutili campagne chiamano "umanitarie" (ma cosa vorrà mai dire quella parola?) . Non guardare le immagini blasfeme di Fahhad Raiper, quel fotografo infedele che mostra delle donne pakistane sorridenti e orgogliose di sé perché fanno quello che una donna pakistana non dovrebbe mai fare. Cioè, quello che vogliono. Pensa, amore, che queste donne dicono addirittura che l'Islam non predica queste cose. Ma come si permettono di contraddire il verbo sacro del Consiglio dell'ideologia islamica? Chi si crede di essere quel Fahhad che, a soli 22 anni, infanga le nostre tradizioni in tutto il mondo?
No, amore, non ascoltare queste cose. Anzi, facciamo così: non te lo chiedo, te lo ordino. E sai che, se non mi ascolti e poi mi arrabbio, anche in modo leggero, dispiacerà a entrambi. Soprattutto a te.

Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook di Fahhad Raiper, a cui porta il link che ho inserito. Appartengono alla campagna #TryBeatingMeLightly, promossa da questo giovane fotografo contro la proposta di legge del Consiglio pakistano dell'ideologia islamica di cui si parla nel discorso finto (ma purtroppo probabile) che ho scritto sopra.