venerdì 22 luglio 2016

Erdogan: otto-mani e cervello finissimo

"Figlia mia, ti ho toccata? Tu devi capire che io sono turco. Io sono ottomano. Tu di mani ne vedi solo due, ma ne ho altre sei". Tayyip Erdogan non è un turco napoletano, come Totò. Il Principe ci faceva ridere. Il Sultano mica tanto.

Con le sue "ottomani" (due non gli bastavano) ha sempre preso per i fondelli il mondo intero. Con il beneplacito di quel mondo intero, timoroso della sua vicinanza geografica con il Medio Oriente. Quel mondo intero scopre solo ora le trame di questo aspirante imperatore, tanto furbo quanto pericoloso. O fa finta di scoprirlo solo ora.
Che Erdogan abbia organizzato il colpo di Stato di una settimana fa pare, ormai, evidente. Qual è il modo migliore per guadagnare popolarità se non quello di passare per vittima? Qual è la scusa migliore per fare pulizia di personaggi scomodi se non quella di accollare loro la colpa di un'insurrezione, di un complotto contro il garante della democrazia? E' vero che Erdogan, al momento del presunto colpo di Stato, con un tempismo da orologio svizzero, era già a bordo un aereo per Londra in modo da togliersi di mezzo "per motivi di sicurezza"?

Nel 1981, il 23 febbraio, ci fu un serio tentativo di colpo di Stato in Spagna (lo cito perché io c'ero, non parlo di ciò che non ho conosciuto). La dittatura di Francisco Franco era finita da poco più di 5 anni. Vuol dire che quel golpe era governato da chi era cresciuto nell'esercito sotto le logiche del Generalisimo (per la plebe, il generale "gambe corte" per via della sua scarsa statura. In senso lato.). Il capo di Stato, quella notte del 1981 era Re Juan Carlos. Sul quale tutto si può dire ma non che abbandonò il Paese a bordo di un aereo per chissà dove. Restò al suo posto. E fece abortire il golpe poco dopo il suo concepimento.
Questo gesto rese credibile l'uomo che, seppur con i limiti imposti alla Corona dalla Costituzione, governava un Paese la cui democrazia era in grave pericolo. Non fu versata una sola goccia di sangue. Non ci fu epurazione di massa. Nessuno venne denudato, ridicolizzato. I professori universitari restarono al loro posto. I magistrati, pure. Finirono in galera soltanto quelli che avevano orchestrato, in modo piuttosto maldestro, un tentativo di ritorno al passato. Addirittura ex fascisti e comunisti al Parlamento convenirono sull'opportunità di non rendere quell'episodio un trauma per il Paese.
Erdogan, invece, ha preso la palla al balzo (calciata in origine da lui stesso, forse, chissà) per fare pulizia etnica ed intellettuale. "Do cojo, cojo", direbbero i romani. Magistrati, giornalisti, avvocati, militari, professori universitari...via tutti. Chi gli è contro gli è nemico, quindi va annientato. Non è dittatura questa? I militari che, a suo dire, tramavano contro di lui avrebbero reso il popolo turco meno libero?
Il Sultano, da tempo, ha nelle ottomani gli zebedei dell'Europa e dell'America. E non intende mollarli, anzi: sta aumentando la stretta, creando dei dolori sempre più fastidiosi. I Paesi dell'Unione Europea, che solo ora si svegliano sulla pericolosità di questo personaggio, avvertono che la Turchia, così, non può entrare nel club dei 27. Ma sono sicuri che a Erdogan interessi davvero qualcosa di farsi comandare da Bruxelles?

L'America, in un momento di cambio della guardia alla Casa Bianca, potrebbe avere un atteggiamento ancora più inquietante. Barack Obama, presidente uscente, deve stare attendo a dove mette i piedi, prima di fare qualche passo falso e compromettere l'elezione di Hillary Clinton. Qualche dichiarazione diplomatica sì, del tipo "non va bene così", ecc. Ma poco più. La vera incognità è: che succederà se le presidenziali americane le vince Donald Duck? La Turchia, Paese associato a quella Nato di cui Trump vorrebbe fare a meno, si specchia su quella Siria dove comincia l'inferno mediorientale, le cui fiamme, alimentate dalla rabbia dell'Isis, fanno bruciare anche l'Occidente, America compresa. Insomma, Trump sosterrà chi, come lui, vuole la mano dura contro il nemico a costo di asfaltare chi non la pensa come il Padrone (un consigliere di Trump ha proposto per ben due volte di fucilare la Clinton), o sceglierà la via della mediazione per non rompere del tutto gli equilibri internazionali? Ah, già, pardon. Non l'avevo considerato. La parola "mediazione", ovvero mediation non è sul vocabolario di Trump. E questo è veramente disturbing, cioè inquietante.




lunedì 4 luglio 2016

Pellè si ricordi che ha una "l" in più


Chiariamo subito una cosa: sono uno che sa perdere quando, obiettivamente, non ci sono degli argomenti validi per vincere. Il fatto che la Spagna sia stata sconfitta dall'Italia all'Europeo di calcio non mi ha frastornato più di tanto: il ciclo è finito, la Roja è da rifare. Le Furie Rosse hanno fatto in poco tempo quello che nessuno ha fatto: Europeo-Mondiale-Europeo. Ora, lavoro e pazienza. Era stato peggio l'ultima volta che gli azzurri ci hanno cacciati via da un torneo, 22 anni fa. Erano i Mondiali americani del 1994. Giocavano i vari Baggio, Baresi, Costacurta. C'era perfino Conte. Fu sostituito al 66' da Nicola Berti (ve lo ricordate?) E c'erano anche Tassotti ed il gomito di Tassotti (non ci fu rigore su Luis Enrique ma diedero all'allora difensore del Milan 8 giornate di squalifica...). Uscimmo non solo per il rigore negato allo scadere, ma anche perché il Torpe (all'anagrafe Julio Salinas) sbagliò davanti a Pagliuca un gol che ho visto segnare decine di volte all'oratorio. Comunque, roba da amarcord.


Da quel pomeriggio di giugno, la Spagna ha mandato l'Italia a casa due volte: in finale all'ultimo Europeo con quattro schiaffi (nel senso di reti, non di gomitate) e ad Euro 2008. Oh, mamma...ai quarti di  finale e ai rigori!
Sbagliarono De Rossi e Di Natale. Due specialisti ma, soprattutto, due professionisti. Nessuno dei due si permise di sfottere Casillas, che ai tempi, con Buffon, era il miglior portiere al mondo. Calciarono e basta. Sbagliarono e basta. Come due professionisti. E basta.
De Rossi, tra le altre cose, era già stato campione del mondo nel 2006. Di Natale, due volte capocannoniere della Serie A (2010 e 2011) e Pallone d'argento nel 2011. Eppure nessuno dei due pensò di essere in condizione di sfottere un avversario, oltrettutto con il palmares di Casillas.

 E adesso arriva Pellè. Credo sia convinto che suo papà sbagliò a registrarlo all'anagrafe e segnò una "l" in più. E' probabile che, nel suo intimo, pensi di essere Pelè. Certo, O Rei non poteva provocare un portiere avvertendolo che avrebbe tirato un rigore a cucchiaio: doveva ancora inventarlo Panenka.
Ma Pelè il brasiliano aveva la classe, non l'effetto "tappo di gazzosa": stappi col botto, poi il contenuto della bottiglia si ammoscia. Pelè è una leggenda, Pellè deve ancora scrivere la sua favola. Pelè incantava il mondo, oltre che con le sue giocate, con la simpatia dei suoi ricci. Pellè ha creduto di farlo con la brutta imitazione del ciuffo di Nicola Berti, quello che sostituì Conte nel '94 con la Spagna.

 A Pelè interessava giocare e vincere. Forse pure a Pellè. Ma il primo lo faceva senza cercare le inquadrature della tv, un mezzo che ai tempi era pensato per far vedere più gioco e meno giocatori. Pellè, invece, si pettina dopo ogni azione, dopo ogni colpo di testa.
Pelè, dopo una carriera impressionante, non ha mai dovuto chiedere scusa a nessuno. Pellè è stato costretto a farlo al primo grande torneo della sua vita. Annullando quel poco di buono che ha fatto finora (poco non per il valore dei suoi gol ma perché ha appena iniziato la carriera). Si è reso ridicolo, davanti all'Italia, alla Germania, al mondo mondiale. Non so se meriti la maglia azzurra, dopo un gesto di superbia come il suo. Non so se possa avere l'orgoglio di indossare il numero 9 con cui Antognoni vinse il Mondiale spagnolo e che indossarono anche Vieri, Torricelli, Ancelotti, Inzaghi, . Perfino, anche se raramente, Gaetano Scirea. Veri campioni. Oddio, l'ha indossata anche Balotelli. Vabbè, l'importante è che, per una volta, ci sia due senza tre.