Il caso è stato portato alla luce poco prima di Pasqua dalla versione maghrebina dell'Huffington Post ed è stata rilanciata oggi dal quotidiano-partner italiano La Repubblica. C'è uno spot realizzato dalla fotografa franco-marocchina Leila Alaoui (nella foto), uccisa a 33 anni da Al Qaeda negli attacchi dello scorso gennaio in Burkina Faso, in cui alcune persone di ogni età raccontano la difficoltà degli immigrati subsahariani ad inserirsi nel contesto sociale del Marocco. Il video (dura appena 40 secondi ma è bello carico di contenuto) è stato girato circa un anno fa e prodotto dall'associazione Bladi Bladek, già presieduta dall'Alaoui. Il filmato, però, è rimasto a lungo in un cassetto perché i tre canali della televisione nazionale di Rabat ( Médi1 Tv, 2M e Al Aoula) si sono rifiutati di trasmetterlo, nonostante l'associazione volesse proporlo a pagamento.
La tenacia, però, viene spesso premiata. Ed ecco che il video salta fuori a febbraio scorso, poche settimane dopo l'attentato in Burkina Faso, durante il Salone del Libro e dell'Editoria di Casablanca, patrocinato (guarda un po') da Re Mohammed VI, nel corso di una cerimonia per ricordare le vittime di quegli attacchi. Subito ripreso dalle reti sociali, in appena 48 ore ha registrato oltre 25.000 visualizzazioni. Ma di passaggi in tv, nemmeno l'ombra.
Parallelamente, l'associazione ha lanciato la campagna Né schiavi né negri, (il link porta a un articolo in lingua francese di Jeune Afrique che spiega il contenuto dell'iniziativa) appoggiata (sempre sui social, ovviamente) da diversi gruppi marocchini, algerini e tunisini. L'obiettivo è quello di non sentire più un giorno le frasi riportate da quel video, in cui qualcuno lamenta "quanto è difficile per un subsahariano diventare amico di un marocchino", oppure il fatto che "nel quartiere tutti mi chiamano indegna".



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